Cento anni della Radio – intervista ad Andrea Torre (RTR 99): “La Radio è chi la ascolta. Non dobbiamo consegnarci all’intelligenza artificiale”

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Per celebrare i Cento anni della Radio, RadioMusik.it  ha intervistato Andrea Torre, storico conduttore radiofonico e DJ, in onda da poco più di due anni ogni pomeriggio su RTR 99 – Canzoni e parole fuori dal coro. Ecco cosa ci ha detto.

Ciao Andrea. Cos’è per te la radio?

Potrei risponderti – utilizzando una retorica che io stesso ho di frequente cavalcato – che la radio sono quei bambini che appoggiavano l’orecchio alla radiolina a transistor sul cuscino per seguire i propri idoli e che crescendo sarebbero approdati a quel fantastico mondo fino a farne una professione. Molto dei quali resistono tutt’oggi sebbene la tecnologia abbia frammentato irreversibilmente il mondo della comunicazione. Ma commetterei l’errore di mettere al centro, come tutti troppo spesso abbiamo fatto e continuiamo a fare, il nostro ego: noi siamo i lavoratori della radio e quindi noi “facciamo” la radio, dimenticando ancora una volta che non avrebbe senso “comunicare” senza qualcuno che ascolti quanto abbiamo da dire, o quale musica trasmettere. La radio esiste non in quanto qualcuno la “fa”, ma in quanto c’è qualcuno che la ascolta. Quindi la risposta è: per me la radio è chi la ascolta”.

Qual è il tuo primo ricordo radiofonico?

Nel 1976 abitavo in provincia di Roma, avevo 12 anni, iniziavano le accensioni in FM e tra queste si palesò anche Radio Delta Velletri. Scoprii che la sede era in una villa poco distante da casa e mi presentai al suo ingresso per una visita; era gestita da 2 fratelli, Tonino e Orietta Trivelloni, lui in regia e lei al microfono con il programma delle dediche. Ovviamente ero eccitatissimo, tutto quel ben di Dio tra attrezzature e dischi era per me l’ingresso in paradiso… Orietta doveva annunciare “Heaven must be missing an angel” dei Tavares ma non c’era proprio confidenza con la lingua inglese. Il piccolo, saccente Andrea prontamente le sciorinò l’esatta pronuncia e lei – che non avrebbe peccato di maleducazione se gli avesse risposto “ma che ti impicci” – gli disse: “complimenti… senti… ti andrebbe di condurre un programma di “musica da discoteca”? Da quell’estate del 1976 senza soluzione di continuità sono arrivato al 2024. E l’anagrafica segna il numero 60″.

 I tuoi Anni Novanta sono stati contraddistinti da Centro Suono. In passato hai raccontato che, quando un disco veniva passato da un Network, voi lo toglievate dalla programmazione: puoi dirci qualche titolo?

“Eravamo integralisti fanatici, e questo era un modo per rivendicare la nostra nicchia. Ovviamente era un compiacimento autoreferenziale, perché il successo di quei dischi che noi avevamo messo in anteprima sarebbe stato attribuito ai grandi network arrivati secondi. Due su tutti: “Show me love” di Robin S e “Horny” di Mousse T”.

 Hai  avuto un’esperienza imprenditoriale con Club Dance Radio: quali aspetti dell’essere editore ti hanno maggiormente provato?

“Preciso solo che non ero editore, prendevamo in affitto e gestivamo spazi su altre radio. E comunque mi ha provato solo l’ aspetto economico, molto pesante per me e soprattutto per il mio socio Alessandro Marini. Il progetto era valido ma essere stato costretto a vendermi la casa era il chiaro segnale che non sono tagliato per l’imprenditoria”.

Come organizzavi le tue giornate quando l’attività di disc jokey si è affiancata in modo stabile a quella radiofonica?

Semplice: partenza da casa verso le 10, passaggio ai negozi di dischi per prendere le novità di importazione, programma in radio dalle 14 alle 17, gestione direzione artistica fino alle 20, cena con i colleghi e discoteca dalle 23. Rientro a casa all’alba. Per lunghi periodi anche 4-5 giorni a settimana. Spesso aprendo la porta di casa mi trovavo davanti ai figli con lo zaino sulle spalle che stavano uscendo per andare a scuola. Ma ci tengo a sottolineare che in quel periodo non ero motivato dal “ferro da battere finché è caldo” (tanto ho guadagnato e altrettanto ho speso e spesso buttato), amavo quella corrente musicale e mi divertivo tantissimo, punto”.

Cosa ti ha portato ad approdare a Radio Globo, con un format opposto rispetto a quello di Centro Suono?

Con CDR si stava chiudendo un ciclo. Sarebbe diventato patetico perseverare anche in termini musicali, anche lì erano gli ultimi fuochi. Il bel movimento house-underground romano che un tempo aveva tenuto il passo alla cosiddetta “commerciale” era ormai diventato l’ombra di sé stesso per mancanza di imprenditori lungimiranti ed esubero di autoreferenzialità. Intuii che la coerenza da tutti definita un valore in realtà è una gabbia, persino un’offesa all’intelligenza. I presupposti migliori insomma per andare a conoscere l’altra parte del mondo, studiarla con passione per capire che nella vita i cambiamenti radicali sono TUTTO. In quel momento incontrai sulla mia strada Manuel De Vella che mi propose di andare a parlare con Bruno Benvenuti a Radio Globo, da lì sono partiti i 16 anni del mio ciclo successivo”.

 Parliamo di oggi: hai detto che un paio di anni fa eri sul punto di smettere con questo mestiere: quali caratteristiche di RTR 99 ti hanno portato a continuare con rinnovato entusiasmo?

Per gli stessi motivi di cui sopra. 13 anni spinto dall’amore per la mia musica preferita, altri 16 nello studio, l’applicazione e l’adorazione della tecnica radiofonica. Ma la tecnica in quanto tale possono impararla tutti, grazie anche al fatto che tu l’hai insegnata in onda tutti i giorni. Quindi un altro ciclo si era esaurito, era il momento di liberarsi delle sovrastrutture, stava crescendo incontenibile la necessità di ripartire dalle origini, restituire dignità al mio mestiere, restituire alla radio il ruolo di ponte tra le persone, tra le anime, l’isola nella corrente di banalità e comunicazione a senso unico, fredda, troppo tecnica e tecnologica, costruita, finta. Ho dato amicizia a tutti sempre, disinteressatamente. Rarissime volte ne ho ricevuta, ma è sempre accaduto nei momenti giusti e questa forse è la mia fortuna se vogliamo leggerla sotto un profilo spirituale. Avevo la batteria scarica che mi consentiva solo una telefonata, la feci a Marco Lolli. Marco ed io abbiamo percorso due strade parallele per 40 anni, ma credo sia l’unica persona in cui mi possa rispecchiare professionalmente al 1000×100. Anche sul tema dell’amicizia le esperienze ci hanno resi fratelli. Marco mi ha proposto di andare a fare una chiacchiera con Fabio Martini, non è stata solo una chiacchiera… è stato un colpo di fulmine. E’ stato il momento in cui 3 persone accomunate dalla passione per la vera radio hanno capito che era giunto il momento per iniziare a camminare insieme”.

Come si prepara una puntata di Torre 99, e quanto contano i suggerimenti degli ascoltatori, considerando lo sconfinato archivio musicale della radio in cui lavori?

Ripartire da zero è stato anche questa volta il presupposto, un tempo non esisteva la “playlist” e non esistevano software e scheduler. Si faticava di più ma alla fine c’era maggiore soddisfazione anche perché chi ascolta avverte se lo sta intrattenendo una macchina o un essere umano, o peggio ancora la cosiddetta intelligenza artificiale. Ogni​puntata la preparo nelle 3 ore precedenti alla messa in onda, è uno studio continuo (proprio perché lavoro su un archivio sconfinato) della musica, dei suoi interpreti, dell’umanità e dei sentimenti che hanno voluto rappresentare con le loro opere. I suggerimenti degli ascoltatori sono tenuti in gran conto, ma vanno ben valutati e distribuiti perché la radio non è un jukebox. L’alchimia è importante e spetta a noi governarla affinché le nostre pietanze possano essere gradite al maggior numero di persone. Ecco perché se vogliamo mantenere vivo questo mestiere artigianale dobbiamo tenerci alla debita distanza dagli algoritmi e dai fogli Excel. Se vogliamo tenere in vita questo mestiere è vitale rivendicare la nostra umanità, sempre nel rispetto del vero motore vitale della radio: l’ascoltatore”.

 Grazie alle rubriche “Radiostory” e “Discostory” hai riportato in radio alcuni dei tuoi maestri, e Teo Bellia oggi è anche tuo collega. Qual è il segreto per imparare dai propri modelli senza copiarli?

“All’inizio è proprio copiandoli che si acquisisce la tecnica, se hai personalità e talento emergeranno da soli. Forse il problema è che una volta il livello e la quantità dei modelli offriva una scelta molto più ampia. Oggi veramente pochi aprono il microfono mostrando sé stessi. Non è una buona cosa,  è una pessima cosa”.

 La radio compie cento anni: c’è un aspetto del suo passato che ti manca, ed uno dei suo presente che apprezzi particolarmente?

Mi manca quel mondo analogico fatto di giradischi, piastre, registratori a bobine, scaffali con i dischi, cavi rca, il telefono bigrigio a filo a fianco del mixer, processori che si regolavano con manopole e pirulini. Oggi indubbiamente la rete è il vero valore aggiunto sui contenuti”.

 L’hanno data per morta più volte, e invece è ancora qui: cosa deve fare secondo te la Radio per continuare ad esistere?

Di certo non è in grandissima salute, ma è inevitabile perché ha perso l’esclusività della comunicazione. I nostri competitor oggi possono essere paradossalmente i nostri ascoltatori, che diventano ex nel momento in cui si aprono un canale su Youtube o similari trasformandosi in produttori di contenuti con un semplice smartphone, raggiungendo migliaia di persone le quali a loro volta diventano ex ascoltatori, spendendo praticamente zero. Le radio ufficiali e strutturate sono soffocate da adempimenti, tasse, spese, più creano lavoro e più sono vessate. Non contenti noi del settore stiamo consegnando all’intelligenza artificiale  le chiavi del nostro lavoro, siamo in procinto di lasciargli il posto al microfono. Si dice “eh ma la IA facilita molto sui contenuti”, come se ciò non fosse un elemento fondante di questo mestiere, come se non fossimo in grado di crearli e trovarli da soli. Non rendendoci conto che nel momento in cui diciamo “ma che figata, con un click in pochi secondi ho a disposizione materiale che avrebbe richiesto ore di ricerca e studio” stiamo segando l’ormai esile ramo su cui siamo seduti. Serve altro per capire il vero stato delle cose? Ovviamente io continuo a lottare con chi come me crede nel peso del fattore umano ed è consapevole che “la radio è chi la ascolta”, ma se il mezzo radio ha deciso di rinunciare alla sua prerogativa di umanità temo ci sia ben poco da fare”.

Stefano Beccacece

 

 

 

 

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Stefano Beccacece nasce nel 1985 a Torino. Sino a pochi anni fa poeta - ha pubblicato due raccolte tra il 2006 ed il 2010 - ora fa prevalentemente il blogger. Dal 2012 scrive di calcio e mass media. Su Radiomusik potete leggerlo prevalentemente nella sezione "Radio News".